Pagamenti elettronici online e uso del contante ormai sono da tempo entrati nel dibattito pubblico. Da un lato la sicurezza della transazioni. Le preoccupazioni sono infondate o reali? E’ molto più sicuro pagare online che lasciare la propria carta di credito al benzinaio o al ristoratore di turno? Dall’altro un’abitudine consolidata nell’uso del contante. Se ne potrebbe fare a meno? Non ci sono anche qui ragioni di sicurezza da considerare?
Dieci anni fa l’evoluzione dell’economia digitale ha introdotto una nuova branca di attività che ha preso il nome di FinTech. Né più, né meno l’acronimo di Finance-Tecnology. Oggi le società FinTech, che in italiano potremmo chiamare tecno-finanza, sono quelle lavorano alla digitalizzazione del sistema bancario e finanziario per renderlo più efficiente e sicuro. L’attività tecnologica è parte fondamentale per tutto il comparto finanziario, in particolare quello bancario che, da sempre, è percepito come lento, burocratico e inutilmente complesso.
UN MERCATO IN ESPANSIONE. La tecnofinanza viaggia nel mondo a ritmi di crescita del 300% all’anno, mentre in Europa arriva al 400% (quasi 800 milioni di euro investiti in UK – il 40% delle FinTech operano sulla piazza londinese). Secondo PWC nel 2016 le start-up dell’area Fintech avevano raccolto quasi 12 miliardi di dollari di finanziamenti. Un anno prima era la metà.
La tecnofinanza è una rivoluzione anche per i consumatori che possono finalmente beneficiare di maggiore trasparenza nel loro rapporto con il mondo bancario. Le soluzioni tecnologiche permettono sia analisi più accurate e innovativi sistemi di accesso al credito sia semplicità di fruizione, velocità e sicurezza nei servizi.
La tecnologia finanziaria si articola in una vasta gamma di soluzioni tech applicate alla finanza personale e commerciale. Le aziende e le società che si occupano di Fintech propongono una vasta gamma di servizi, soluzioni e applicazioni per le attività commerciali e per quelle private e personali: dal crowfunding al peer-to-peer lending, gestione dei pagamenti all’asset management, fino al credit scoring alle criptovalute.
Mondi nuovi e totalmente sconosciuti ai più. Eppure anche nel nostro paese ci sono competenze e capacità che su questo terreno stanno costruendo un caso di successo dopo l’altro. Nel corso della cerimonia di premiazione del Premio Marzotto ho avuto modo di conoscere una di queste realtà. Si tratta di DOMEC SpA e ho cercato di capirne di più chiacchierando con Antonio Sorrentino, CEO e fondatore.

Sorrentino è uno splendido quarantenne (cit.), napoletano di origine, di studi e nei modi di fare, formatosi nel mondo delle tecnologie e, dopo una quindicina d’anni trascorsa a lavorare per gli altri, decide che deve fare qualcosa per se stesso. Non solo, la sua idea è “che i nostri tecnici e ingegneri, specialmente quelli del sud, hanno tutte le carte in regola, competenze, saper fare e creatività, per essere numeri uno”.
Da questi presupposti nasce DOMEC, la prima fintech totalmente italiana che porta nel mondo della tecnofinanza una visione innovativa. Sì, è vero che nulla si crea e tutto si trasforma, come dice il vecchio adagio illuminista, però Sorrentino con il suo team, ispirandosi a modelli di business di oltreoceano, ridisegna un suo modello “made in Italy”: realizzare sistemi di pagamento (payment) e di fedeltà (loyalty) grazie ai quali le aziende clienti possono acquisire e ingaggiare clientela in modo semplice, immediato e, perché no? anche divertente.
Posso dire che ci vuole una buona dose di coraggio per mettersi in gioco in una sfida del genere?
Come tutte le scelte imprenditoriali una base di intraprendenza e coraggio sono fondamentali. Però insieme ai miei soci quando abbiamo cominciato, tre anni fa, non siamo stati a farci troppe domande. Il mercato lo avevamo studiato bene. La precedente attività professionale ci aveva consentito di costruire per ciascuno di noi una rete di rapporti e relazioni di fiducia e credibilità. Da questo siamo partiti.
Ma qualche soldo l’avete messo o avete subito trovato gli investitori che ci hanno creduto?
Per partire abbiamo messo i nostri soldi, più o meno mezzo milione di euro e nel primo esercizio due terzi li abbiamo avuti di perdita. Poi dall’anno successivo abbiamo cominciato a fare profitti ed è così che si sono accorti di noi anche gli investitori.
La scelta della Basilicata come è nata? Di solito questo tipo di attività sono collocate nel Regno Unito o in Irlanda, voi siete andati contro corrente e per di più nel sud dell’Italia…
Anche a me avevano proposto Dublino e a dire il vero un pensiero lo avevo pure fatto. Cinque anni senza tasse, agevolazioni a tutto spiano, zero burocrazia. Ma poi da uomo del sud ho sentito il richiamo e l’amore per la mia terra. Perché devo andare all’estero. Resto in Italia, investo nel mio paese che ha talenti e competenze di valore. Da noi non è come la Silicon Valley, dove si decide da un giorno all’altro di andare altrove. Noi mettiamo radici e quando ci crediamo andiamo fino in fondo. Portiamo a casa il risultato.
Però diciamoci la verità intraprendere in Italia, specia al sud è complicato…
Guarda la scelta di Potenza come sede di DOMEC è stato per noi un moto di orgoglio, ma anche dovuta al fatto che lì il cosiddetto territorio ha scommesso su di noi. Sviluppo Basilicata e il suo fondo di Venture Capital ha investito con noi per oltre 1,6 milioni di euro. L’attore dello sviluppo locale è diventato un co-investitore. Se lo ha fatto è perché noi con le nostre forze e le nostre energia abbiamo dimostrato, nei fatti, che clienti importanti come Autogrill, Eataly, Italo Treno, e altri ci avevano già scelto. Quando non eravamo conosciuti, ma ci avevano voluti perché le nostre soluzioni erano valide e di qualità. Inoltre creare posti di lavoro veri, di qualità e di valore a Potenza è stato l’altro elemento importante.
Adesso anche un importante riconoscimento nell’ambito del Premio Marzotto
Sì, questo è un altro passaggio che ci rende orgogliosi di quello che in soli tre anni di vita abbiamo fatto. Noi siamo la testimonianza vivente che una start-up innovativa che ha buone idee, spirito di sacrificio, voglia di fare e di lavorare può andare lontano.
Quanto conta la squadra in una start-up innovativa come DOMEC?
Potrei rispondere che è tutto. Siamo cresciuti insieme, giorno dopo giorno, difficoltà dopo difficoltà, nessuna distinzione di ruoli. Processi decisionali condivisi e piramide appiattita. Tutti devono fare e saper fare tutto. Flessibilità, spirito di adattamento, condivisione di una visione e della strategia. Adesso è il momento di crescere ancora. Nuovi clienti arrivano, nuove competenze si aggregano. La presenza a Milano e l’ufficio anche a Roma. Insomma stiamo diventando una realtà importante.
Un’altra storia di straordinaria maestrìa che sa coniugare oltre al saper fare anche l’amore per il proprio paese. Un tratto distintivo dell’Italia che quando riscopre i suoi valori, il territorio e le persone di talento non è seconda a nessuno. Bravo! Antonio Sorrentino che invece di fare il cervello in fuga è rimasto qui a giocarsi il suo futuro insieme ai suoi giovani ingegneri. A loro questo paese deve dire grazie.
Standing ovation!